HOOK: dov'è Capitan Uncino? (recensione)

Giorgio Palmieri
Giorgio Palmieri
HOOK: dov'è Capitan Uncino? (recensione)

HOOK è l’ennesimo rompicapo minimalista che l’industria videoludica mobile partorisce per i suoi videogiocatori. Ciò che ci fa storcere il naso di questa tendenza (perché di tendenza si parla, mettiamolo in chiaro) è che lo stile appunto minimalista viene scelto frequentemente solo come pretesto per snellire il comparto grafico e l’impostazione generale, così da accorciare il lavoro da svolgere, e i risultati di questa scelta portano spesso a risultati discutibili. Spesso, ma non sempre.

Secondo gancio a destra

Hook (2)

Prodotto dalla società di publishing Rainbow Train (oO), in HOOK bisognerà risolvere una serie di enigmi basati sui ganci. L’obiettivo è liberare lo schermo da tutte le figure utilizzando dei cerchi i quali, una volta toccati, trascineranno con sé dei fili. Questi ultimi sono talvolta sovrapposti o ostacolati tra loro da ganci, quindi dovrete seguire un certo ordine per completare il puzzle. Come si suol dire, più difficile a dirsi che a farsi, e il detto ci calza a pennello.

HOOK infatti è molto semplice, e di primo acchito anche troppo semplice, quasi ad insultare la vostra intelligenza. È però una scelta di design precisa: non c’è punteggio, non c’è un menù di navigazione degno di tale nome, non ci sono vite o un tempo limitato. L’assenza di competitività contribuisce a ridurre sensibilmente la rigiocabilità, ma l’intera esperienza non punta a quello, bensì a far rilassare il suo giocatore. I livelli iniziano però a farsi più tosti più avanti, senza mai esagerare con il tasso di sfida. Tuttavia, la struttura è l’albero maestro dell’intera produzione, che propina rapidamente un livello dopo l’altro, dalla durata peraltro esigua, una progressione che stimola il giocatore ad andare avanti senza fermarsi.

Poco budget? Minimalismo

Hook (5)

I percorsi circuitali si arricchiscono quindi di nuove meccaniche man mano che si procede nell’avventura, tanto quanto basta per tenere il giocatore incollato allo schermo per la durata del viaggio videoludico.

Alla fine ci si fa “l’occhio” e si procede spediti, con livelli interessanti e altri meno, ad alternanza. In poche parole, HOOK non riesce quasi mai a sorprendere, e i puzzle scadono presto nel trial-and-error, però in tutta franchezza il titolo si è rivelato un esercizio per il cervello niente male nonostante la palese semplicità del gameplay.

Stilisticamente siamo su livelli standard, con una pulizia a schermo sicuramente ottima, ma che non conferisce una particolare identità al gioco. Stiamo parlando infatti di figure geometriche statiche, inanimate (o quel che basta) senza guizzi d’ingegnosità. C’è da biasimare l’artista? Non troppo, anche perché con un paio di cuffie e sul divano la sensazione di relax viene trasmessa per davvero, anche se c’è da dire che il merito è quasi tutto del buon comparto suono.

Semplicemente semplice

Al costo di un singolo euro, e senza ulteriori esborsi, ci si porta a casa un rompicapo mobile di tutto rispetto.

Come se non ce ne fossero abbastanza direte voi, ma HOOK è realizzato con discreta cura, e raggiunge con onore il suo scopo primario. Voleva essere un minimal, relaxing, puzzle game? Lo è, e anche qualcosina in più.

PRO

CONTRO

  • Meccaniche coincise ma valide...
  • Comparto sonoro gradevole
  • Rilassante, per davvero
  • ... e troppo semplici per alcuni palati
  • Scomoda navigazione tra i livelli
  • Assenza di competitività